La giurisprudenza è concorde nell’affermare che per la nascita del condominio non sia necessario un formale atto di costituzione, essendo sufficiente la presenza di un edificio in cui vi siano:
- almeno due diverse proprietà esclusive;
- presenza di parti comuni destinate all’utilizzazione ed al godimento delle parti di proprietà esclusiva.
Dal momento in cui sussistono tali presupposti, la disciplina degli articoli 1117 c.c. e segg. si applica a prescindere da ogni e qualsiasi questione in tema di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari comprese nel condominio medesimo e dalla loro regolarità amministrativa.
La disciplina condominiale si applica anche nel caso in cui i fabbricati oggetto di esame non abbiano ottenuto il certificato di abitabilità. L’importante è che siano soddisfatte le condizioni già esposte. Ciò è quanto afferma la Corte di Cassazione Civile con la sentenza n. 510/1982:
“Coerentemente il condominio si può costituire ed operare per il solo fatto che esiste un bene comune da godere, nei limiti di legge e da gestire. E’ perciò esatto il principio affermato dalla Corte del merito che ai fini della costituzione del condominio di edifici non rileva il fatto che il certificato di abitabilità per gli appartamenti non sia stato ancora rilasciato (…)”.
La natura condominiale permane anche nell’ipotesiin cui, all’interno di un compendio immobiliare a destinazione turistico-alberghiera, alcuni proprietari – in violazione di tale obbligo – abbiano adibito la propria unità immobiliare a civile abitazione; ciò in quanto la destinazione del compendio immobiliare e l’eventuale conformità o meno delle strutture realizzate è irrilevante con riferimento alle spese condominiali dei servizi resi e usufruiti da parte dei condomini.
Sul punto, si riporta un estratto della sentenza del Tribunale di Roma n. 636 dell’11.01.2018:
“(…) si osserva:
Che la violazione del regime di destinazione di uso da parte di taluni proprietari ed il successivo provvedimento di chiusura del residence sono fatti inidonei a determinare il venir meno del regime di condominio dei singoli proprietari sui beni comuni e la necessità della loro gestione;
Che il condominio – quale ente di gestione dei beni comuni – per un verso non risponde delle condotte dei singoli proprietari inadempienti (verso i quali deve eventualmente essere rivolta una domanda di risarcimento dei danni) e per l’altro verso è obbligato a gestire le porzioni comuni che sopravvivono in ogni caso alla chiusura del residence;
(…) La gestione dei beni comuni è di per sé neutra, nel senso che i beni comuni esistono e devono essere gestiti a prescindere dalla destinazione impressa ai singoli appartamenti; aderire alla tesi di controparte, del resto, significherebbe predicare la cessazione di qualunque forma di gestione dei beni comuni sino al ripristino della destinazione alberghiera, ponendo un nesso di diretta interdipendenza tra esistenza del condominio e destinazione dei singoli appartamenti che non esiste in diritto (i beni comuni esistono a prescindere dal rispetto del vincolo di destinazione da parte dei proprietari, e dunque richiedono di essere gestiti) ed è stato negato dalla giurisprudenza di Cassazione citata da parte attrice e sopra riportata”.